00 26/11/2009 20:59
Qualche notizia sul riso
Secondo un'antica leggenda cinese la nascita del riso fu conseguenza di una terribile carestia, quando il Buon Genio della campagna, impotente e disperato perché non sapeva come sfamare il suo popolo, si strappò i denti e li gettò al vento. Finirono in una palude, dove si trasformarono in semi. E i semi diventarono tante piantine verdi, i cui frutti (tolta la buccia) erano migliaia e migliaia di chicchi di riso che per il loro candore rievocavano i denti dello spirito benefico. Così sarebbe nato, secondo i cinesi, il prezioso cibo che da allora non ha smesso di consolare le loro mense.

Il suo uso alimentare, sul territorio nazionale, può esser fatto risalire alla fine del quindicesimo secolo. All’epoca, tuttavia, da noi la produzione era ancora piuttosto scarsa ed il riso era cibo di lusso conosciuto soprattutto (anzi, quasi esclusivamente) sulle mense principesche. Si trattava, perciò, di una situazione ben diversa da quella di tempi più recenti, quando il riso ha incominciato ad incunearsi saldamente nella tradizione gastronomica nostrana.

Le ricette italiane più tipiche, consegnano ai buongustai un’ampia scelta di piatti d’ogni città e regione. Qualche esempio? Il “riso con le grive” (tordi) delle zone risicole del Piemonte che regalano anche la “panissa” vercellese e la “paniscia” novarese (due gustose variazioni su un unico tema, riso e fagioli), il “riso con le luganeghe” o salsicce, il celebre cinquecentesco “risotto alla milanese”, il mantovano “risotto alla pilota” con le salamelle soffritte nel burro (“pilota” era il “maestro della pila”, la fabbrica dove un tempo si procedeva a scortecciare il riso).

Il “risotto alla milanese”, forse il più famoso tra i risotti gialli, ha una storia che s’intreccia strettamente con quella della risicoltura nella Pianura Padana. E, va da sé, anche con quella dello zafferano che gli conferisce l’inconfondibile colore ed è giunto fino a noi dall’Oriente seguendo in parte la stessa strada del riso.
Il felice connubio tra questi due elementi risalirebbe ad una data ben precisa, legata ad una vicenda sviluppatasi nell’ambiente della “Fabbrica del Duomo” di Milano. La decisione di dotare la cattedrale di grandi vetrate aveva richiamato nella città lombarda uno stuolo di artisti. Fra questi c’era il fiammingo Valferio Perfunavalle, di Lovanio, che tra gli altri colori intensi utilizzava lo zafferano per dare brillanti toni di giallo alle vetrate (a lui si devono, fra il 1572 e il 1576, quelle dedicate alla vita di S. Giuseppe, alla storia di S. Martino e alla presentazione della Vergine).
Costui aveva una figlia, la pittrice Prudenzia, che si sposò nel 1574. Ed è a questo punto che entra in ballo il risotto alla milanese. Vale a dire il risotto, squillante di giallo come certe stupende vetrate, che si videro servire i commensali al pranzo di nozze.
Cos’era accaduto? Null’altro che uno scherzo, magari un po’ stupido, ma certo saporito! Già, perché - con successiva soddisfazione di tutti i presenti e di non pochi posteri - un aiutante di Mastro Valerio, non per caso soprannominato “Zafferano”, aveva convinto il cuoco a trasferire l’impiego del croco dai ponteggi del Duomo alla cucina.