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La cucina della Roma antica

Gran parte delle ricette a noi pervenute sono dovute al " De re coquinaria" un ricettario composto da 10 libri, tramandatoci dal gastronomo Marco Gavio Apicio che scriveva ai tempi dell'imperatore Tiberio quando la cucina romana aveva perso quel carattere di frugalità che l'aveva contraddistinta nei secoli fino alla fine della repubblica ed era il vanto di quel Catone che tanto amava le antiche tradizioni. E' una raccolta di 450 ricette per tutti i gusti e tutte le fantasie, che ha permesso di conoscere i vari tipi di prodotti utilizzati nella cucina romana; questa raccolta, coadiuvata dalle molte scoperte archeologiche, prime fra tutte quella di Pompei e di Ostia antica, ha permesso di ricostruire non solo i vari piatti dell'epoca, ma anche l'ambiente dove venivano consumati, anche sulla base di quanto raccontatoci da personaggi come Plinio, Giovenale, Marziale, Petronio e di altri scrittori classici latini che spesso accennavano nei loro scritti a scene di vita quotidiana.

Questa per esempio è una delle sue ricette, che potrebbe benissimo essere riproposta oggi

Budinetti di farro
Metti a bagno 200 gr. di farro on molta acqua per almeno 12 ore. Lava, frantuma grossolanamente (alica), aggiungi 50 gr. di pinoli e 50 gr. di mandorle spellate, lessa fino a che il farro è morbido. Aggiungi 50 gr. di uva passa, mezzo bicchiere di Marsala all'uovo, lavora fino ad omogeneità, versa in tegamini individuali e spargi di pepe spezzato. Servi freddo.

Il condimento per eccellenza, usato su tutte le pietanze era il garum.
Il garum è una salsa liquida di interiora di pesce e pesce salato che gli antichi Romani aggiungevano come condimento a molti primi piatti e secondi piatti. Il vocabolo è di etimologia incerta.
Le notizie su questo condimento sono molto frammentarie e talvolta contraddittorie, di conseguenza c'è incertezza su cosa fosse e come si preparasse.
Alcuni sostengono fosse simile alla pasta d'acciughe, altri al liquido della salamoia delle acciughe sotto sale che nella costiera amalfitana ed in particolare a Cetara si può gustare anche oggi con il nome di "colatura".

Apicio nel De re coquinaria, condisce con il garum almeno 20 piatti. Il garum era così comune che Apicio dà per scontata la ricetta e nel suo libro non ce l'ha tramandata; accenna soltanto che è un prodotto della fermentazione delle interiora di pesce e pesce al sole, senza neanche dire che erano preventivamente salate. Dice che dalla fermentazione di queste interiora, si separa un solido e un liquido che chiama liquamen.

Nelle Geoponiche per esempio, di autore ed epoca ignoti, è scritto: gettare in un recipiente interiora di pesce e piccoli pesci con sale e lasciare al sole e mescolando frequentemente. Filtrare grossolanamente la salamoia in una cesta, dove rimane l’allec, la parte solida. Alcuni aggiungono anche due misure di vino vecchio per ogni misura di pesce. Se si ha bisogno di usare subito il garum senza tenerlo tanto al sole, si cuoce rapidamente mettendo il pesce in acqua di mare concentrata in modo che un uovo vi galleggi, fino a quando non sia ridotto abbastanza di volume, quindi si cola. Ma il fiore del garum si ottiene con le interiora, il sangue ed il siero dei tonni sopra cui si sparge sale e si fa macerare per due mesi.

Gargilio Marziale nel De Medicina et de virtute herbarum scrive: "si usino pesci grassi come sardine e sgombri cui vanno aggiunti, in porzione di 1/3, interiora di pesci vari. Bisogna avere a disposizione una vasca ben impeciata, della capacità di una trentina di litri. Sul fondo della stessa vasca fare un alto strato di erbe aromatiche disseccate e dal sapore forte come aneto, coriandolo, finocchio, sedano, menta, pepe, zafferano, origano. Su questo fondo disporre le interiora e i pesci piccoli interi, mentre quelli più grossi vanno tagliati a pezzetti. Sopra si stende uno strato di sale alto due dita. Ripetere gli strati fino all’orlo del recipiente. Lasciare riposare al sole per sette giorni. Per altri venti giorni mescolare di sovente. Alla fine si ottiene un liquido piuttosto denso che è appunto il garum. Esso si conserverà a lungo".

Plinio il Vecchio in Naturalis historia (pagine 31, 93 e seguenti), enumera il garum fra le sostanze saline, come un liquor exquisitus ottenuto dalla macerazione di interiora di pesce: da qui nasce l’aneddoto che il garum sia "pesce marcio di materie in putrefazione", perché se non si metteva abbastanza sale invece che una fermentazione si otteneva una puzzolente putrefazione. Plinio disse anche che il garum più buono è il garum sociorum, fatto con gli sgombri e proveniente dalla Spagna, prodotto da una società tunisina di origine fenicia, che esportava soprattutto in Italia. Questo era costoso come un profumo. Anche in Italia, in Campania, a Pompei, Clazomene e Leptis Magna esistevano fabbriche famose di garum. Si commerciavano anche una specie di garum senza condimenti, il gari flos, e una specie fatta di pesce a scaglie, il garum castimoniale. Il garum sociorum essendo essenzialmente una salamoia satura in cloruro di sodio in presenza di enzimi proteolitici, oltre a essere un buon digestivo, presentava qualità disinfettanti, (paragonabili alla tintura di iodio e a blandi antinfiammatori). Dunque veniva usato come medicinale contro la scabbia degli ovini, le ustioni recenti, i morsi dei cani e del coccodrillo, per guarire le ulcere, la dissenteria e i malanni delle orecchie.