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I posti meno famosi delle nostre città

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2010 08:50
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04/05/2009 20:36

Nelle nostre città, ci sono angoli e posticini, che soltanto le persone che vi risiedono conoscono meglio, un po' lontane dai circuiti turistici.
Inizio col parlarvi di una chiesa romana, una delle tante ma molto particolare. E' a pianta circolare, è stata chiusa per anni, causa restauro ed è un vero gioiello. Stupenda per i matrimoni. A Roma così tonde, ne esistono solo due, questa e S. Costanza.

S. Stefano Rotondo al Celio

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La chiesa venne edificata su di una parte della caserma romana dei Castra peregrina, in corrispondenza di un mitreo che vi era stato impiantato intorno al 180 e che fu rimesso in luce nel 1973-1975. Nei pressi si trovava inoltre un'ampia residenza dei Valeri

La costruzione fu probabilmente voluta da papa Leone I (440-461), sotto il quale era stata edificata anche un'altra chiesa dedicata a santo Stefano (Santo Stefano sulla via Latina), e dovette essere iniziata negli anni finali del suo pontificato: sono infatti state rinvenute in un tratto delle fondazioni dell'edificio due monete dell'imperatore Libio Severo (461-465); inoltre tramite la dendrocronologia si è appurato che il legno utilizzato nelle travi del tetto era stato tagliato intorno al 455. Dalle fonti sappiamo che tuttavia la chiesa venne consacrata solo successivamente, da papa Simplicio (468-483).
Nel VII secolo papa Teodoro I (642-649) trasferì a Santo Stefano Rotondo le reliquie dei santi martiri Primo e Feliciano
Il catino absidale venne decorato da un mosaico a fondo d'oro, sul quale sono raffigurati i due santi ai lati di una croce gemmata, sormontata da un medaglione con il busto del Cristo; da un anello superiore si intravede il cielo stellato, con la mano di Dio che offre la corona del martirio. Il mosaico, uno dei pochi esempi di quest'epoca ad essersi conservato a Roma, fu probabilmente eseguito da un artista di origine bizantina.

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Nell'XI secolo la cappella fu ristretta con tramezzi per ospitare una sacrestia e un coro secondario e nel 1586 le pareti furono affrescate da Antonio Tempesta con le storie del martirio dei due santi.



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[Modificato da kamo58 04/05/2009 20:39]
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04/05/2009 20:43

Ci sono angoli non tanto conosciuti della capitale, che hanno un loro particolare fascino ed una loro storia.
Pochi conoscono infatti gli orologi ad acqua anche tra i romani, il più famoso è quello che si trova a Villa Borghese, ma non il solo che si trovi a Roma.
Facciamo però un passo indietro nella storia per spiegare in poche parole che cosa fossero i primi orologi ad acqua. Alcuni filosofi greci, sembra che paragonassero lo scorrere del tempo con lo scorrere dei fiumi, fu questa analogia che forse diede l’idea per l’ideazione e la costruzione dei primi orologi ad acqua. I primi strumenti di questo tipo, furono le clessidre, la parola greca klepsydra significa infatti “ladro d’acqua” e si riferisce al lento gocciolare dell’acqua da un recipiente all’altro. Questo tipo arcaico di orologio fu ideato dagli Egiziani o dai Caldei fu grazie a questa invenzione che divenne possibile la misurazione dell’ora siderale e di conseguenza la nascita dell’astronomia.
Nel 1867 il padre domenicano Giambattista Embriaco, forse dopo aver osservato il funzionamento delle antiche clessidre, ebbe un’idea geniale ed inventò il primo “Idrocronometro”, che non è una clessidra od orologio ad acqua, ma un vero orologio, nel quale l’acqua, riempiendo alternativamente due bacinelle, dà l’impulso al pendolo indipendente, e per lo più serve a caricare il movimento e la soneria dei quarti delle ore. Doveva questa, essere la meraviglia dell’Esposizione Universale di Parigi. Ebbe tanto successo che molti personaggi importanti dell’epoca volevano costruirne uno simile: Napoleone III ed anche il grande Rossini. Non si sa il perché, ma i vari progetti non furono mai eseguiti.
Gli unici che furono poi montati e resi funzionanti furono, quello famoso al Pincio nel 1872, un altro nel cortile del ministero delle Finanze in via XX Settembre, 97, ed un terzo nel cortile di Palazzo Berardi a via del Gesù, 62, che si possono ancora oggi ammirare in tutta la loro bellezza
L’orologio di via del Gesù, è forse più spettacolare dal punto di vista artistico. A differenza di quello di Villa Borghese costruito in legno; questo è completamente costruito e racchiuso in una grande cassa metallica.
Tutta la “cornice” che circonda l’orologio è di stile neoclassico. La cassa infatti si trova in un’incavo costruito appositamente nel muro del palazzo, formato da due finte colonne bassorilievo, raffiguranti figure di donna poste due per lato a fianco dell’orologio. Posti sulle finte colonne due mezzi busti con toghe romane.
L’acqua che cadendo defluisce dall’orologio, si raccoglie ai piedi di questo in una vasca semicircolare.
Sono curiosità della nostra città che non tutti conoscono e che forse meritano una visita.

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orologio di Via del Gesù, 62

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Orologio di Villa Borghese
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04/05/2009 21:27

c'è una chiesetta sopra prato..che domina la città....simbolo di un paesino di 10 case...per me e per i miei amici luogo di pace e confidenze....il panorama che si vede da lì è questo....
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04/05/2009 21:28

a inizio secolo era un posto praticamente isolato....
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04/05/2009 21:29

ancora adesso la chiesa mantiene il suo fascino..non per nulla è qui che ho impalmato la locandiera...
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06/05/2009 08:51

Re:
sancio panza, 04/05/2009 21.29:

ancora adesso la chiesa mantiene il suo fascino..non per nulla è qui che ho impalmato la locandiera...




come ero bella quel giorno.... [SM=g1807572]
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06/05/2009 20:24

Altro posto, poco conosciuto dai turisti perchè un po' fuori dal centro, è il Mausoleo di S. Costanza, di cui ho già accennato.







La chiesa di S. Costanza era il mausoleo originariamente eretto per Costanza, figlia di Costantino, che successivamente venne trasformato in battistero della basilica di S. Agnese, sorta nel VII secolo, e a partire dal 1254 trasformato in chiesa. L'edificio è una splendida costruzione a pianta centrale, a cui si accede dal nartece, absidato ai lati, che all'origine era interno, costituendo il trait d'union con la navata anulare della basilica cimiteriale di cui sopra. L'interno colpisce immediatamente per la forza del ritmo delle sue strutture, ancora pienamente partecipi dell'architettura tardoromana (l'edificio risale al 342), modulate dalla luce che proviene dai finestroni sottostanti la cupola. Questa è sorretta da dodici coppie di colonne di granito, con elaborati capitelli su cui poggiano pulvini, cioè una sorta di cuscini marmorei che hanno il compito di suggerire un maggior slancio delle arcate che vi poggiano sopra. La cupola era coperta fino al 1630 circa da meravigliosi mosaici, a dire delle testimonianze precedenti, così come le pareti tra gli archi e la cupola ricoperte di incrostazioni marmoree a opus sectile (tarsie); poi una minaccia di crollo portò sotto Urbano VIII a eliminare tutto. Lo splendore dell'ambiente originario è comunque suggerito dall'ambulacro circolare che gira attorno al vano centrale, la cui volta a botte è tuttora ricoperta da magnifici mosaici del IV secolo, alternativamente spartiti tra motivi geometrici e scene di vendemmia, soggetto dionisiaco che in questo caso viene a significare dei riferimenti all'immortalità dell'anima. Nelle campate a destra e sinistra dell'ingresso, Costanza e Annibaliano, suo marito. Le scene figurative, così come quelle geometriche, tutte su fondo bianco, rientrano ancora pienamente nell'arte tardoromana. Due mosaici, di poco più tardi (fine IV secolo), sono nelle due absidiole semicircolari a destra e a sinistra, raffigurando rispettivamente la Consegna delle chiavi e la Traditio Legis, mosaici peraltro pesantemente restaurati nel secolo scorso.







Nella nicchia quadrata opposta all'ingresso è un calco del sarcofago in porfido di Costanza, il cui originale fu trasportato da qui nei Musei Vaticani agli inizi del secolo scorso.


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27/05/2009 17:53

A Roma tra i tanti monumenti e bellezze architettoniche, si trovano moltissime fontane e fontanelle zampillanti acqua limpida. Sono dislocate per tutta la città e tante sono anche famose, come la fontana delle Naiadi di Piazza della Repubblica, quelle di Piazza Navona, quella di Trevi...
Le fontanelle classiche, dalle quali ci si rinfresca e disseta, noi romani le chiamiamo i “nasoni” per la forma della cannella. Non si deve pensare che siano uno spreco d’acqua, perché oltre che noi, dissetano gli animali randagi in giro per la città e l’acqua che scaricano, alimenta un circuito a parte, che rifornisce le grandi fontane di Roma.
In strade e vicoli, ci sono piccoli capolavori d’arte, fontane spesso nascoste e celate dalle macchine in sosta ma non per questo meno belle o importanti, perché nella città eterna tutto ha una sua storia ed un fascino antico.

Prendiamo per esempio le due fontane delle Botticelle.
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Esistono a Roma due fontane con l’effige di un facchino e di un barile: una in via Lata, dedicata ai portatori d’acqua, l’altra in via di Ripetta, dedicata invece ai portatori del vino. L’originaria ubicazione posizionava la fontana del facchino portatore di vino addossata alla facciata del palazzo Vendramini, alla quale riusciva a dare un certo tono vista la mediocrità del palazzo che fu successivamente demolito durante i lavori di sistemazione dell’area circostante l’Ara Pacis; la fontana, smontata, venne traslata sulla facciata della chiesa di San Rocco. Nel 1570, per celebrare la conclusione dei lavori di adduzione dell’acqua Vergine di Roma, era stata prevista la realizzazione di diciotto fontane dislocate in diversi punti della città una delle quali doveva essere sistemata su San Rocco. In realtà l’acqua fu condotta principalmente per servire l’ospedale delle Celate ( le donne che erano costrette a partorire in anonimato) e solo nel 1774 quando l’ospedale subì un totale restauro, la Camera Apostolica donò una certa misura d’acqua alla condizione però che questa volta la famosa fontana fosse realmente costruita. Di fronte a San Rocco, nel porto di Ripetta, attraccavano le navi cariche di mercanzia; per tale ragione la confraternita degli osti volle erigere una fontana ristoratrice raffigurante un facchino simbolico per tutti i portatori di legna, vino, acqua, verdura, di tutte le merci che arrivavano a Roma per via fluviale; non a caso scelsero il portatore di vino. Il perché si ritrova nelle abitudini e consuetudini del porto, fra tutte le merci in arrivo la più ambita e desiderata era senz’altro il vino. Infatti tutte le partite di questa merce provenienti dall’alto Lazio trovavano qui i primi diretti estimatori e ovviamente assaggiatori: erano i portatori che compivano il magico rito della degustazione, dinanzi alla chiesa, patronimica degli osti, accompagnato da feste e baldorie. La fonte non poteva avere quindi migliore sistemazione se non qui, fra S. Rocco e S. Girolamo degli Schiavoni, in una nicchia ricavata nell’arco che collega le due chiese.

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Una buffa testa d’uomo dal berretto sbilenco, tipico dei facchini, sorridendo versa acqua in una sottile vasca ovale sospesa su un mucchio di pietre che fanno da fondale a tutta la composizione. Alla base di questa vasca, due fistole gettano acqua in un rozzo catino che a sua volta la riversa nell’imboccatura di una botte rovesciata sul fianco. Un bordo marmoreo, infine, delimita una piscina a livello terra che conclude la composizione. Sul fondale, oltre all’ammasso informe di pietre, è disegnata una cornice in falsa prospettiva che inquadra la valva di conchiglia da cui spunta la testa ridanciana del facchino (quasi fosse una perla!). Un arco decorato a bassorilievo nella cui lunetta si disegna una apertura ogivale serrata da un’inferriata, delimita la fontana superiormente.

La fontana del Cane

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Si può definire senz’altro la più piccola fontana romana, non destinata propriamente ai romani, e per questo motivo è una delle più curiose. Anche al più abituale frequentatore di Via Veneto potrà essere sfuggita non soltanto per le sue piccole dimensioni, ma soprattutto per la sua inconsueta posizione: praticamente raso terra; ma per l’uso cui era destinata, non poteva essere collocata in modo più consono. Via Veneto, una strada storica non perché legata a qualche fatto storico, ma per essere stata, a cavallo fra gli anni ‘50 e ‘60, fulcro della «dolce vita felliniana», luogo d’incontro di personaggi di fama internazionale.
In una nicchia di travertino lavorato a fasce orizzontali, una piccola vasca raccoglie l’acqua versata da una cannella seminascosta da un elemento sempre in travertino lavorato a scaglie. Una specie di stemma nobile compare sulla chiave della nicchia. Una testa di cane in bassorilievo si solleva sulle zampe anteriori, mentre la sigla ABC, sempre in bassorilievo (appellativo del ritrovo), lega indissolubilmente la fonte al bar. A volere il piccolo abbeveratoio fu un tale Mister Charlie, che possedeva due cani di taglia piuttosto grossa, i quali avevano la necessità di bere e non potendoli portare altrove e lasciare il bar, il barman regalò loro questa fonte per soddisfare il desiderio di bere a breve raggio e con comodità come in una ciotola domestica. Nel contempo soddisfece anche l’esigenza di tutti gli altri cani di passaggio.

La fontana dei libri

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Intorno al 1927 l'amministrazione comunale commissionò all'allora giovane architetto P. Lombardi, vincitore del concorso per la fontana di Monte Testaccio, precedentemente bandito dallo stesso comune, la realizzazione di una serie di fontane aventi per soggetto alcuni rioni di Roma. I rioni avevano sempre avuto un valore simbolico nelle vicende del popolo romano che si era spesso stretto attorno alle bandiere rionali nei momenti di fermento più difficili. A questi simboli o stemmi si ispirò il Lombardi nella progettazione delle fontane rionali a lui affidate.
Questa dei Libri sta a rappresentare il rione Sant'Eustachio. Questo santo, a cui erano particolarmente devoti i romani, fu protagonista di una leggendaria conversione in seguito ad una visione. A lui fu intitolata una chiesa che dette il nome al rione. Proprio a questa visione con l'immagine di un cervo, Lombardi si rifece, racchiudendo nella composizione gli elementi più simbolici del rione (tra cui alcuni libri). Fu posta nella storica via dell'Università (successivamente via degli Staderari, dai venditori di bilance e stadere che avevano qui le loro botteghe) addossata al palazzo dell'università della Sapienza. Il rione, come già accennato, prende il nome da un antico generale romano convertitosi al Cristianesimo (II sec. d.C.) dopo che gli apparve un cervo con una croce luminosa tra le corna, simbolo che compare anche alla sommità del timpano della chiesa a lui dedicata e che fu assunto anche come emblema del rione. Questi stessi elementi si ritrovano appunto nella fontana. Un arco a tutto sesto con l'iscrizione S.P.Q.R. corona una nicchia all'interno della quale due mensole marmoree poste trasversalmente sostengono due antichi voluminosi libri, simbolo della sapienza (università). Fra le due mensole si intravede, sul fondale della nicchia, la testa del cervo rivolta verso l'osservatore. L'acqua scende da due cannelle, poste nel segna pagina di ciascun libro, direttamente sul selciato.
Una curiosità: al centro della graziosa fontanina risulta incisa in verticale la indicazione del nome del rione e in orizzontale il relativo riferimento numerico. Ma c'è un errore, perchè Sant’Eustacchio corrisponde al Rione VIII mentre nel travertino risulta chiaramente indicato come Rione IV.

La fontana di Carlotta

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Questa è una piccola fontana, situata in un quartiere periferico della città, la Garbatella, che con il tempo ha assunto un ruolo importante, tanto da divenire rione.
La metto per affetto, perché è il quartiere dove sono nata e cresciuta.
Edificata negli anni ‘30 durante la costruzione del quartiere Garbatella, in piazza Ricoldo da Montecroce, la fontana, monumento simbolo della Garbatella e punto di incontro degli innamorati dell'anteguerra, è costituita da un grande vaso in graniglia di cemento, simile alla terracotta, dove un volto femminile, incorniciato da lunghi capelli, getta uno zampillo d'acqua nella vasca sottostante. Carlotta è proprio il nome della donna, fiera e indipendente, entrata a far parte dell'immaginario popolare. E' una piccola fontana situata alla Garbatella e la scalinata ad essa adiacente somiglia un po’ a quella di Trinità dei Monti. Carlotta non possiede la bellezza e l'importanza delle altre fontane di Roma , ma è un simbolo importante di un quartiere. Dal 1920, forniva acqua potabile e fresca al quartiere, fino a quando venne deturpata dai vandali, e l'anfora sovrastante divenne pericolante. Il finanziamento dello IACP (Istituto proprietario di tutto il quartiere di Garbatella) e l'opera della società ACEA, contribuirono al restauro restituendo al quartiere, nel mese di luglio 1998, la fontana e il volto della stessa agli antichi splendori.

Notizie prese da:
qui
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16/06/2009 12:25

La chiesa di San Cristoforo martire vulgo Madonna dell'Orto
La chiesa fu eretta nella metà del XIV secolo (poco dopo il 1355) da Tiberio da Parma Generale dell'Ordine degli Umiliati che qui fu sepolto alla sua morte avvenuta il 21 gennaio 1377, e dedicata a san Cristoforo martire.
Nel 1377 il popolo la chiamò chiesa della Madonna dell'Orto in seguito alla collocazione (18 giugno) di un simulacro della Vergine ritenuto miracoloso, opera dello scultore Giovanni De Santi (+ 1392).
Il 17 dicembre 1461 gli Umiliati vennero soppressi e subentrarono i Canonici Regolari di san Giorgio in Alga (una Congregazione di religiosi da poco fondata ed alla quale appartenne san Lorenzo Giustiniani, primo Patriarca di Venezia dal 1451).
Nel 1483 fu ultimato e collocato il portale rinascimentale opera di Bartolemeo Bon e nel 1503 il Campanile, unico nel suo genere, sormontato dalle statue del Redentore e dei quattro Evangelisti della scuola di Pietro Lombardo.
Dal 1552 al 1569 il Tintoretto, che abitava a pochi passi dalla chiesa in Fondamenta dei Mori all'odierno civico 3399, dipinse per la chiesa dieci opere.
Alla sua morte, avvenuta nel 1594, il Tintoretto fu sepolto nella chiesa.
Nel 1622 il Patriarca Tiepolo commissionò il ciclo dei dipinti raffiguranti i Santi e Beati veneziani, unica importante raccolta iconografica di tale soggetto.
Nel 1668 i Canonici furono sostituiti dai Cistercensi di Torcello e anche questi ultimi vennero soppressi nel 1787 quando la chiesa fu affidata al clero secolare divenendo rettoria della parrocchiale di san Marziale Vescovo.
La chiesa, dopo un periodo di chiusura e consistenti restauri, viene riaperta al culto nel 1868 e dal 1 gennaio 1876 divenne sede parrocchiale mantenendo il titolo originale della dedicazione, cioè chiesa di san Cristoforo martire vulgo Madonna dell'Orto.
Oltre alla Scuola dei Mercanti, all'interno della chiesa officiavano la Scuola di san Michele Arcangelo, la Scuola dei Forneri, il Sovvegno di sant'Antonio.
Nel 1931 la chiesa fu affidata alla Congregazione di san Giuseppe che la officia tuttora.
Dopo la disastrosa alluvione del 4 novembre 1966 l'edificio fu restaurato a cura dell'Italian Art ad Archives Rescue Fund, per l'interessamento di S.E. l'Ambasciatore inglese Sir Ashley Clarke. Dal 1987 al 1993 sono stati eseguiti lavori di manuten­zione e restauro della chiesa e dell'organo a cura del The Venice in Peril Fund, della Quaker Chiari e Forti e del Magistrato alle Acque di Venezia.
L'anniversario della Dedicazione si celebrava il 5 settembre.
Il campo della chiesa è uno dei pochissimi esempi rimasti di antica pavimentazione veneziana. E' costituito da 66 campiture rettangolari in mattoni posti a spina di pesce chiusi dentro un reticolo di trachite, suddivise da un'ampia fascia centrale che a modo di corsia congiunge la porta della chiesa alla riva sul rio della Madonna dell'Orto. Analoga pavimentazione a "spina di pesce" si trova all'interno del chiostro e nel vicino Campo di Santa Maria in Val Verde (Abbazia).
Accanto alla chiesa venne edificato il monastero compiuto verso la fine del secolo XV dai canonici secolari subentrati agli Umiliati.
Gli edifici conventuali si addossavano in parte sul fianco destro del tempio e si sviluppavano fino alla zona retrostante le absidi e verso la laguna. Erano per lo più situati al primo ed unico piano soprastanti le arcate di due chiostri.
Alla caduta della Repubblica, il monastero fu venduto e usato come deposito.
Attualmente il chiostro è tutto ciò che rimane del vasto monastero e solamente tre lati, costituiti da dieci arcate sui lati lunghi e nove su quello corto, sono ritmati da 26 colonnine in pietra d'Istria e in pietra di Verona la cui base presenta analoga lavorazione a quella delle dieci colonne che formano le navate della chiesa.

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16/06/2009 21:37

scala Contarini del bovolo
Nascosta all'interno di una piccola corte, alla fine di una stretta calle, laterale al Campo Manin, emerge singolare in tutta la sua straordinaria eleganza la Scala Contarini del Bovolo. È uno dei più singolari esempi dell'architettura veneziana di transizione dallo stile gotico, ben radicato nella cultura locale, a quello rinascimentale.

La salita della Scala si conclude con un belvedere a cupola dal quale si può ammirare uno splendido ed inconsueto panorama: i tetti, i campanili, le cupole di San Marco, con una visuale sull'intera città.

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03/01/2010 21:07

La fontana di Trinità dei monti



Il cardinale Ferdinando Medici, figlio dell'illustre Cosimo I, fu nominato da papa Sisto V, sovrintendente ai lavori dell'acquedotto Felice. Il Papa, ultimati i lavori, volle donargli alcune once d'acqua, che egli fece sgorgare da questa fontana, dopo averne acquistato la vasca di marmo granito, per la cifra di 200 scudi dai frati di S. Salvatore in Lauro. In una grande piscina a livello terra si riflette la bella tazza circolare sospesa su una robusta balaustra nel cui centro accoglie la storica sfera marmorea da cui si eleva allegro un alto getto d'acqua che ricade nel primo gradino e successivamente nella piscina a livello stradale dal sottile bordo mistilineo. Ricordiamo infine che la sfera sostituì un precedente giglio mediceo attraverso il quale si alimentava la fontana.

Al primo sguardo non sembra una fontana particolarmente interessante o di gran pregio, anche se da molti decantata. Ma il luogo stesso in cui si trova è talmente suggestivo e romantico che finisce per far sembrare più bella anche questa semplice vasca. Il panorama che si scorge da sotto l'ombra del largo alberato, il passaggio ed il raccogliersi continuo delle coppiette, ne fanno costante ornamento. A parte questo, l'unico vanto, in mezzo alla conca disadorna, è una palla di pietra dalla quale sgorga l'acqua. La storia, o meglio la fantasia popolare, è molto più generosa nei confronti di questa "palla di cannone" che in quelli della fontana vera e propria. Nel 1655 venne a Roma dalla lontana Svezia, la regina Cristina, che si dice fosse un tipo piuttosto mascolino, dal carattere duro ed impulsivo allo stesso tempo. Si narra che un giorno, avendo promesso al pittore francese Charles Errand, che in quel periodo soggiornava a villa Medici, di bussare ad una certa ora al suo portone, e trovandosi a quell'ora a Castel S. Angelo, Cristina esplose un colpo di cannone puntando dritto verso il portone di villa Medici, dove incredibilmente ed intatta, la palla di pietra atterrò. Venne quindi collocata, a ricordo del fatto, al centro della conca di questa fontana che ancora oggi si trova di fronte a villa Medici. Sul portone della villa, ancora si può notare l'impronta lasciata dall'impatto.
[Modificato da kamo58 03/01/2010 21:10]
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01/07/2010 08:50

Re:
kamo58, 06/05/2009 20.24:

Altro posto, poco conosciuto dai turisti perchè un po' fuori dal centro, è il Mausoleo di S. Costanza, di cui ho già accennato.














Tra poco visita in questo bellissimo monumento con amica americana.
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