Vento, maledetto vento, stavo pensando questo mentre seduto su una panchina del parco cercavo disperatamente di leggere il mio giornale. Ogni volta che volevo girare una pagina un colpo di vento buttava tutto all’aria e dovevo fare mille contorsionismi per poterlo rimettere a posto e dargli una parvenza di giornale. Accadeva tutti i giorni la stessa cosa, avevo scelto, probabilmente, il parco più ventoso della città dove fare la mia pausa pranzo, certo era vicino a dove lavoravo, ma esistevano mille altre soluzioni meno scomode. Invece mi ostinavo a passare tutti i giorni lì, non ne sapevo nemmeno il motivo, o meglio, si che lo sapevo… in quel parco, a quell’ora, trovavo una pace e una calma che mi riconciliava con la vita. Era la mia “Oasi” di pace e serenità. Così tutti i giorni era diventata una lotta con il giornale che mi ostinavo a tentare di leggere e che era certamente una battaglia persa, ormai. Anche quel giorno all’una mi ero seduto sulla mia panchina, sempre la stessa, da dove godevo della vista della fontana e dell’ingresso del parco e da dove un curioso come me poteva osservare tutto quello che succedeva ed immaginare la vita delle persone che vi transitavano. Quello di pensare alla vita degli altri era una cosa che mi portavo dietro fin da bambino, quando io e mio cugino, seduti sul muretto fuori casa sua, guardavamo passare la gente e ci raccontavamo come immaginavamo vivesse. C’era una persona in particolare che mi piaceva osservare dal parco, una ragazza che sempre alla stessa ora chiudeva un negozio e transitava davanti a me. Di lei avevo immaginato una vita regolare, fatta di negozio e casa, probabilmente abitava ancora con i genitori in un appartamento modesto come se ne vedono tanti, lavorava per aiutarli economicamente sognando una vita tutta sua. “Aveva un fidanzato?” Questa cosa me l’ero chiesta spesso, ma non avevo mai visto nessuno andarla ad aspettare davanti al negozio e mi ero convinto che se era esistito, e ne ero quasi certo, ora non c’era più. Insomma, avevo passato gli ultimi mesi ad osservare il mondo dalla panchina e ad aspettare quei 5 minuti in cui la ragazza usciva e a passo spedito attraversava il parco.
Poi improvvisamente era arrivato il colpo di vento, che aveva buttato all’aria il mio giornale scomponendolo e facendole andare in giro per tutto il parco. Mi stavo per alzare a raccoglierlo, quando vedevo all’ingresso del parco la ragazza del negozio tentare di recuperare il suo cappello. Il vento lo aveva portato lontano e che come per una presa in giro lo allontanava ogni volta che lei si piegava a recuperarlo. Ero rimasto incantato a guardare questo strano gioco tra il vento e la ragazza, quando improvvisamente la sua voce mi aveva scosso da questo stato. “Allora ti muovi?....Mi dai una mano a recuperare il cappello?....”. A quel punto inebetito, balbettando delle scuse cercavo di prenderlo, anche se il vento non ne voleva sapere di restituirlo alla proprietaria. La scena era comica, la ragazza spazientita che mi indicava dove stava volando il cappello e io a corrergli dietro cercando disperatamente di recuperarlo. Alla fine dopo cinque minuti buoni ero riuscito a prenderlo in prossimità della fontana, evidentemente il vento era stanco di divertirsi. Alla fine, dopo aver recuperato il cappello, per sdebitarsi lei voleva offrirmi un caffè, ma io avevo rifiutato… Preferivo non approfondire la sua conoscenza. Mi piaceva di più continuare a conoscerla attraverso la mia immaginazione piuttosto che conoscerla realmente…
Come da sempre nella mia vita.